Chemical Xenogenization (Cx) and Immune Checkpoint Inhibitors (Icpi) nella terapia del Melanoma

Progetto di ricerca finanziato con il contributo di Aon Benfield e metà con Aon RE Trust (www.aon.com)

INTRODUZIONE

(a) Il fenomeno CX. Alcuni anni fa il nostro gruppo, operante presso il National Cancer Institute (NIH; Bethesda, Md, USA), dimostrò per la prima volta che il trattamento con composti triazenici di topi portatori di leucemia sperimentale determinava la comparsa di nuovi antigeni a livello della cellula neoplastica. Questo fenomeno venne denominato “xenogenizzazione chimica” (Chemical Xenogenization, CX, Bonmassar L et al, Curr Med Chem 2013, 20: 2389-2401) in quanto il farmaco rende le cellule maligne totalmente incompatibili con l’ospite, con conseguente risposta immunitaria che elimina il tumore in modo estremamente efficace e duraturo. In seguito, si ottennero prove dirette che CX è dovuto ad induzione di mutazioni a livello della cellula neoplastica. Tuttavia, la mancanza di metodi adeguati a incrementare in clinica le risposte immunitarie del paziente verso antigeni tumorali CX- indotti, impedì per molti anni che questa importante osservazione superasse il livello puramente sperimentale preclinico.

(b) Immune checkpoint Inhibitors (ICpI). Del tutto recentemente sono entrati nell’armamentario terapeutico antitumorale gli ICpI, e cioè farmaci (essenzialmente oggi anticorpi monoclonali) che sono in grado di bloccare particolari recettori di membrana come CTLA4 o PD1. Questi recettori “frenano” fisiologicamente le risposte immunitarie, allo scopo di evitare che uno stimolo antigenico susciti una risposta immunitaria esagerata e poco controllata. Tuttavia, nel campo oncologico, abbiamo necessità di incrementare le risposte immunitarie altre i limiti fisiologici in quanto le risposte anti-tumore sono di norma troppo deboli per essere efficaci. Quindi, gli ICpI tolgono il freno alla risposta immune ed esaltano l’immunità verso i tumori, ed in particolare verso il melanoma (Redman JM BMC Med. 2016 Feb 6;14(1):20)

(c) I tumori che presentano alti livelli di mutazioni sono più curabili da ICpI. È stato visto recentemente che i migliori risultati clinici ottenuti con ICpI riguardano tumori nei quali è stata dimostrata la presenza di antigeni derivanti da processi spontanei di mutagenesi (tumori del colon-retto, tumori polmonari, melanomi, Rizvi NA et al Science 3 April 2015 • vol 348 issue 6230). Tali processi sono conseguenti a deficit di riparo del DNA, oppure sono il risultato di mutazioni indotte da cancerogeni come il fumo di sigaretta, o mutazioni indotte da radiazioni agenti sulla cute come nel caso del melanoma.

SCOPO DEL PROGETTO

Sulla base dei punti illustrati nell’introduzione, risulta chiaro che il fenomeno CX torna oggi in primo piano per le possibili applicazioni cliniche, dal momento che ICpI hanno aperto la strada alla possibilità di amplificare la risposta immunitaria del paziente contro gli antigeni CX- indotti. Con questo design, il trattamento farmacologico indurrebbe artificialmente quelle mutazioni che, presenti spontaneamente in alcuni tumori, rendono il trattamento con ICpI particolarmente efficace. Per attuare pienamente questo progetto, sono necessarie alcune ricerche preliminari che aprano la strada all’uso razionale di triazeni + ICpI nei tumori umani, ed in particolare nei melanomi. Scopo quindi del presente programma è quello di valutare sia quantitativamente che qualitativamente le mutazioni indotte da un composto triazenico di ampio uso clinico nel melanoma e nei tumori cerebrali come la Temozolomide (TMZ), in linee di melanomi umani in coltura, e di correlare tali mutazioni con la capacità di indurre in vitro una adeguata risposta immunitaria.

DISEGNO SPERIMENTALE

(a) Trattamento in vitro con TMZ di melanomi umani positivi per HLA-A*01.02. Verranno trattate cellule di melanoma umano in coltura con concentrazioni scalari di TMZ in modo da indurre una serie di mutazioni

(b) Valutazione delle mutazioni indotte dal trattamento farmacologico. Tale parte del programma verrà condotto presso il gruppo del Prof. Maurizio D’Incalci (Istituto Mario Negri, Milano): le mutazioni verranno valutate in termini di frequenza di mutazioni presenti nelle cellule trattate a confronto con quelle riscontrate nelle cellule dello stesso tumore non trattato. Inoltre, verranno individuati i peptidi mutati (e quindi responsabili presumibilmente della immunogenicità della cellula) che sono candidabili ad essere “presentati” da cellule dendritiche HLA-A*01.02.

(c) Test di immunogenicità dei peptidi mutati. Verranno raccolte cellule mononucleate del sangue periferico (MNC) di donatori sani, positivi per HLA-A*01.02 (circa 25-30% della popolazione). Gli MNC verranno divisi in due frazioni: una aderente alla plastica e costituita prevalentemente da macrofagi ed una non aderente costituita prevalentemente da linfociti. I macrofagi verranno fatti differenziare in coltura in vitro in cellule dendritiche . I linfociti verranno congelati e mantenuti in azoto liquido sino al momento dell’uso. I peptidi mutati ritenuti immunogenici verranno incubati con le cellule dendritiche derivate da MNC, e poi aggiunti ai linfociti degli stessi donatori per generare in vitro una risposta immunitaria cellulo-mediata. L’attività effettrice delle cellule sensibilizzate nei confronti dei tumori sottoposti a trattamento con TMZ verrà valutata con diverse metodiche quantitative (citotossicità, produzione di interferon intracellulare, etc).

RISULTATI ATTESI

1. Ci si aspetta innanzitutto che concentrazioni raggiungibili in clinica di TMZ siano in grado di indurre un elevato numero di mutazioni in cellule di melanoma.

2. L’aumento di mutazioni accompagnate da aumento di immunogenicità indotta da TMZ nel melanoma apre ragionevolmente la strada ad un uso razionale in clinica di TMZ combinato con ICpI (es ipilimumab, nivolumab, pembrolizumab etc.) in questo tipo di neoplasie, con la possibilità di estendere lo stesso approccio ad altri tumori maligni.

3. La conferma che il fenomeno CX è inducibile in cellule di melanoma umano fa intravvedere anche la possibilità di allestire vaccini antitumorali con cellule fortemente immunogeniche a seguito di esposizione a TZC, con sostanziali prospettive cliniche di vaccinoterapia dei tumori (Castle JC et al Cancer Res. 2012, 72; 1081–91).